CARNE. Quando di Dio non si hanno piú notizie

E a pagina 228 sento vergogna.
Di essere stato ignorante.
Di essermi reso conto di questa storia cosí tardi.

Una storia che dovrebbe essere letta a scuola, ancor prima del diario di Anna Frank.
Perché la storia di Shin Dong-hyuk non é solo una storia drammatica inchiodata al muro del passato, non é una storia piena di emotivitá post romantica, bensì una storia che accade ora, secca, senza fronzoli. Dura.

Siam tutti belli e buoni a commuoverci dinanzi ai fatti passati, soprattutto quelli pubblicizzati come fossero la Marylin di Warhol (non ho mai capito se tutta questa fama dipende dalle opere o dalla storia dei barbiturici) o l’urlo di Munch, icona ormai di tutto: dalla depressione ad un pacchetto di patatine fritte e poi essere venduta su pallocini gonfiabili.
Quelli su cui abbiamo costruito un occidente sensibile; sensibile solo a quei pochi fatti prescelti ma anestetizzato a tutto il resto.
Come fossimo Coreani del Sud. Vivendo ignari di ció che accade nel nord.
O almeno cosí sembra che sia. Ma come si sa, meglio mai dar per certo le cose che volano nell’aria.

Fondamentalmente l’essere umano é egoista.
Ed il suo problema particolare, benché piccolo possa essere, viene sempre prima del problema di una terza persona. A meno che questo problema inizi a toccare la sua quiete, la sua tanto acclamata pace. Consacrata utopia nella quale si annida il principe degli egoismi individuali.
In fondo chissenefrega dei greci… ma non toccateci le quotazioni in borsa.
Ed appena la crisi greca tocca il portafoglio diventa motivo di discussioni più o meno sterili e puerili sulle responsabilitá.
Quando la colpa é di tutti.
In fondo Hitler avrebbe potuto passare alla storia come un cretino qualsiasi se non ci fossero state tutte le premesse affinché il suo pensiero attecchisse in una Germania dilaniata.

Ripeto: la colpa é di tutti.
La colpa di ció che succede oggi in Grecia é pure mia.
Quando entrammo in Europa non ci volevo stare ma non ne feci un problema grave. Mi dicevo di non avere gli strumenti necessari per giudicare. A mia discolpa posso dire che ero molto giovane… chissà se vale!
La grande fratellanza europea non mi convinceva. Non per un sentimento anticomunitario, bensì perché credevo e ancora credo che la libertà di scelta é più importante di qualsiasi alleanza o compromesso.
Di fatto ora non possiamo più nemmeno decidere se e come spendere i nostri soldi. O meglio sí, possiamo, ma mai più del 3%.
Non voglio far politica ma tutti ben sappiamo che se dovessimo applicare il patto di stabilità all’interno delle nostre attività o famiglie saremmo già morti.
Ma ora é troppo tardi.
Sembra che questo contratto matrimoniale a tutto vantaggio di un solo coniuge non si possa piú sciogliere.
Dicono che sarebbe come “tornare indietro”.
Quindi mi chiedo se per una persona maltrattatta dal marito/moglie sia lo stesso.
Se il divorzio, diritto per cui altri prima di me han tanto combattuto, sia “tornare indietro” oppure una liberazione…

“Deserto e vuoto. Deserto e vuoto. E tenebre sopra la faccia dell’abisso.”
Per Eliot l’esistenza di un Dio demiurgo non era in discussione, il nulla poteva ancora essere riscattato dal tutto.

Shin é ben quattro anni più giovane di me e mentre lui guardava la sua prima esecuzione con le cervella del prigioniero che schizzavano da tutte le parti, io probabilmente ero seduto su un banco di scuola con la mia maestra che mi obbligava a star fermo sulla seggiola di legno verde slavato per impartirmi chissà quale lezione fondamentale.
Forse quella di flauto che odiavo (giuro che a mio figlio fare di tutto per evitare questa tortura!).
Ed io impazzivo perché volevo solo correre.

Il 5 aprile del 1996 avevo 17 anni e stavo già preparandomi all’esame di maturità, con i miei compagni di classe.
L’ultimo anno del Liceo é stato il migliore, eravamo uniti, contenti, facevamo feste e suonavamo tutta la notte nel garage di Paola.
Nel mentre Shin con quindici anni denunciava la fuga di sua madre, veniva preso, appeso a delle catene e mezzo bruciato vivo affinché confessasse una supposta verità. E qualche tempo dopo dover assistere all’esecuzione del fratello (altri schizzi di materia grigia quá e lá) ed infine fuggire allo sguardo di sua madre, in piedi su una cassetta della frutta e con un cappio al collo. Fuggire da quello sguardo prima che la cassetta fosse spinta via e quegli stessi occhi che lo cercavano con risentimento schizzassero dalle orbite.

E quando Shin riuscì a fuggire dal campo 14 scivolando sul corpo di un amico morto per l’alta tensione, io mi ero da poco sposato e pianificavo con mia moglie una fuga molto più facile: quella da Milano.
Quanto meno non ho dovuto strisciare sul cadavere fumante ed elettrificato di un amico per non venir fritto anch’io.
Per poi scappare vestito di stracci in una foresta in pieno inverno.
Solo. Soprattutto solo.

Ma quello che mi colpisce di questa storia non é l’esito eroico della fuga di un coreano.
Perché grazie a Dio, non mi trovo davanti a un film holliwoodiano dalle facili generalizzazioni. Ma davanti ad un report di Blaine Harden, un giornalista che scrive come tale e che seppure a tratti cerca di creare una emotività, questa tarda a raggiungere il lettore.
Tanto meno mi colpisce la disumanizzazione, l’indifferenza davanti alla morte della madre, il tradimento come necessità di sopravvivenza.
E neppure una fuga ispirata da una fame straziante, spinta dal desiderio di mangiar carne. Bramosia di cibo.
La stessa carne ormonata e gonfiata di animali che mai han mosso un passo.
Lo stesso cibo con il quale noi ci ingolfiamo per tappare un vuoto di significato senza fondo.
Quel cibo spazzatura che avvelena parte delle nostre tavole, lo stesso che ci fa correre in palestra, dal dietista o nutrizionista e che da vita al mercato della medicina.
Quel surrogato di “nutrimento”che garantisce alle multinazionali che lo producono di sponsorizzare eventi pubblici. Ed ancora peggio far pressione affinché il trattato TTIP sia finalmente applicato.
Cibo… Quella merda liofilizzata ipernutriente che ci rende schiavi esattamente come la fame. Ma che per un fuggiasco cresciuto con zuppa di cavolo e qualsiasi cosa organica trovata in giro, perfino negli escrementi dei maiali, é più importante e fondamentale della stessa esistenza di Dio.

Io tutto questo lo capisco.
Lo leggo e lo comprendo.
Ma quello che veramente mi sciocca é sapere che un ragazzo come me, piú giovane di me, cresciuto dall’altra parte del mondo e che sicuramente mai conosceró, sia potuto sopravvivere in una situazione simile.
Questo fatto non mi commuove e nemmeno mi fa gridare allo scandalo (il vero scandalo é pensare che il problema della Corea del Nord si limiti al nucleare).
E neppure mi fa venir voglia di arruolarmi in un gruppo che difenda diritti civili o umanitari.

Sapere che un essere umano può sopportare perfino questo mi dà coraggio, mi trasmette una forza di cui non avevo mai avuto cosí tanta coscienza.
Mi fa sapere che il corpo é forte e puó sopportare molto di più di quello che credevo.
Mi fa sentire bene.
Mi fa sperare ancora che qualcosa possa cambiare.
Insomma, che l’istinto chiede alla vita vita.
Che l’istinto di sopravvivenza ci può far superare qualsiasi barriera.
A noi che abbiamo smesso di utilizzarlo perché abbiam creduto che la ragione fosse piú importante.
A noi esseri involuti, immobili, nutriti come anatre da foie gras, annoiati, depressi ed infelici ma con l’ossessione di vivere all’infinito.
A noi, quelli dell’accanimento terapeutico.
A noi, ossessionati del controllo tanto da mandare in pensione perfino Dio.
A noi che per giustificare la nostra pochezza rendiamo mito delle azioni che davanti ai fatti di una vita come quella di Shin non hanno nemmeno la dignitá ed il nutrimento che ha una merda di porco.

Cit. Blaine Harden, Fuga dal Campo 14 – Codice Edizioni, Torino

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